Scrittore, poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista, pubblicitario e linguista. Gabriele D’Annunzio non era un intellettuale come tutti gli altri. Nemico del mercato e della mediocrità, fonda il suo successo proprio sul pubblico di massa, sebbene esso è culturalmente più basso rispetto alla sua provenienza sociale (lui viene da una famiglia borghese di provincia).
Da buon esteta qual era, il poeta considerava la sua immagine esteriore molto importante e questo si rifletteva anche in alcune delle sue opere: i sentimenti venivano meno, poiché erano sovrastati dal culto del bello.
Tralasciando i suoi componimenti e le sue imprese politiche, che lo hanno reso noto a tutti, possiamo definire D’Annunzio come un geniale imprenditore. Fare pubblicità a prodotti come l’Amaro Montenegro e l’Amaretto di Saronno, coniare termine che oggi usiamo comunemente come ‘tramezzino’ o ‘scudetto’ e dare il nome ai magazzini La Rinascente, sono solo alcune delle sue abili azioni di mercato. Voleva diventare un’icona per quel pubblico che lui tanto disprezzava e, per provocare la reazione della massa, si mostrava anche in modo poco sincero: a 16 anni, dopo l’uscita della sua prima raccolta “Primo Vere”, fece circolare la notizia finta della sua morte per farsi conoscere e decidere se sarebbe valsa la pena portare avanti la carriera letteraria. Una vera e propria mossa di marketing.
Così come gli influencer dei giorni nostri con i loro followers, D’Annunzio era molto bravo nel farsi ascoltare dai suoi sostenitori, sfruttando la necessità dell’essere umano di farsi guidare e, spesso, addirittura trascinare.
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