Il Judo è un arte marziale nata in Giappone nel 1882, fondata da Kanō Jigorō. I praticanti di questo sport sono denominati judoka. Il Judo viene praticato sul “Tatami” (stuoia, di paglia di riso), una superficie, che misura 14 metri in tutti i lati, con un quadrato più piccolo con lato di 10 metri dove si svolge il combattimento. Per vincere l'incontro, il judoka deve ottenere un punteggio superiore a quello del suo avversario: ad assegnare i punti ci pensano i giudici e l'arbitro, e vengono assegnati per proiezioni e sottomissioni ed in base alla loro esecuzione.
Il Judo divenne ufficialmente disciplina olimpica alle olimpiadi di Tokyo nel 1964; entrò a far parte delle discipline olimpiche così tardivamente poiché nel periodo in cui morì Jigorō Kanō, ovvero nel 1938, il Giappone era mosso da una spinta imperialista e si era prossimi alla seconda guerra mondiale.
Quando terminò la guerra nel 1945, il Giappone, vinto dagli Stati Uniti d’America, venne sottoposto al pagamento di pesanti risarcimenti economici. Inoltre parte della cultura Giapponese fu censurata, e di conseguenza anche il Judo, poichè venne considerato pro alla guerra e pericoloso. Fortunatamente questa disciplina venne poi reintegrata dal Comitato Internazionale Olimpionico (CIO). La filosofia che si cela dietro questo sport, a parer mio, è unica nel suo genere: la sua presenza nei Giochi Olimpici non è un caso, difatti questa arte marziale, a differenza di altre, non è solo una disciplina di difesa personale ma è considerata una filosofia giapponese, e una disciplina per la formazione dell'individuo dal punto di vista morale e caratteriale. Il termine “Judo” può essere suddiviso in “Ju” e “Do”, in Giapponese significa letteralmente “via della cedevolezza”, tradotto in altre parole nel Judo per vincere non bisogna usare la forza bruta ma serve avere la capacità di sfruttare la forza dell’avversario a proprio vantaggio. Per comprendere meglio questo concetto, lo stesso Jigoro Kano ha paragonato questo sport alla particolare flessibilità dei rami del salice piagente. I rami di questo albero non sono resistenti come quelli della quercia, bensì sono più flessibili: quando nevicherà, il peso eccessivo della neve sui rami della quercia li porterà a cedere prima o poi; il salice piangente invece è dotato di rami flessibili che si fletteranno lasciando cadere lievemente la neve al suolo, senza riportare danni. Questa similitudine è non solo la trama di una leggenda, è anche un insegnamento di vita: quando si presentano delle difficoltà di fronte a ciascuno di noi, non bisogna affrontarle opponendoci ad esse, ma si deve essere superiori e riuscire, attraverso il pensiero razionale, a superarle.
Federico Tolli, 3I
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