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Marco Bellucci

LA CRITICA ALLA SCUOLA “DEI MIGLIORI”.

IL CONVEGNO - Docenti e studenti di molte scuole di Roma, unitamenti a quelli del Liceo Giuseppe Peano di Roma hanno partecipato qualche mese fa al convegno organizzato dal Dirigente del Peano Gianluca Consoli nellaula magna del Rettorato dell’Università RomaTre di Roma sul concetto di valutazione descrittiva e disagio giovanile, L'evento è iniziato con la proiezione della pellicola “Mia” del regista Ivano De Matteo. Il film, che ha appena vinto i Ciak d'oro del pubblico come miglior film drammatico della recente stagione cinematografica, declina il tema del disagio giovanile ripercorrendo la dolorosa vicenda di Mia, un'adolescente alle prese del suo primo innamoramento che si rivela drammaticamente "un amore tossico". Un vero pugno allo stomaco per la veridicità con cui i fatti sono stati narrati. Su questo tema hanno riflettuto e dibattuto il regista, affiancato da una rappresentante della Polizia di Stato, la psicologa Ludovica Moschini e dalla docente di Psicologia dell'età evolutiva de La Sapienza, Anna Di Norcia, che hanno risposto alle domande dei partecipanti. La seconda parte del convegno ha visto l'interessante intervento del professor Cristiano Corsini di RomaTre sulla valutazione descrittiva e il sistema del voto. Corsini ha esposto le tesi dei suoi studi già presenti nel suo libro “La Valutazione Che Educa”.



RIFLESSIONI - Da una serie di interviste rivolte a docenti e compagni da Flavio, studente al primo anno del Peano in una delle due sezioni con valutazione descrittiva, scaturisce la perplessità (per alcuni studenti) sul funzionamento pratico di questo percorso valutativo che, temono, possa essere messo in difficoltà dall' obbligo ministeriale di inserire il voto numerico nelle pagelle, in quanto documenti ufficiali. Il progetto di valutazione andrebbe abolito? ASSOLUTAMENTE NO!

Le critiche infatti, non scaturiscono da un errore nel progetto bensì da due fattori: in primo luogo nella politica del governo, che non è voluto andare alla stessa velocità di scienziati e psicologi, ma ha preferito rimanere fisso in quei dettami ancora figli dell’epoca di Gentile, in secondo luogo in quella mentalità che in maniera tossica ha colpito la mente degli studenti a causa di fattori familiari, sociali, culturali e delle stesse scuole frequentate in precedenza per cui si deve studiare per il voto.

In questa ottica non si è mai data importanza al percorso educativo e di studio nel loro senso più puro ma solamente al risultato finale: non si studia per formarsi, bensì per avere un buon voto, passare l’anno dopo e non venir bocciati o rimandati. Conta quello alla fine no?

 

Questa è una mentalità frutto di decenni e decenni in cui il sistema scolastico è degenerato: la scuola nell’antica Grecia era dinamica, collaborativa, con il fine di sviluppare il pensiero dell’individuo e gli scambi culturali. Ora è a stretto braccio con la assurda idea che sta alla base del concetto di della filosofa Ayn Rand: la scuola deve nutrire solo i meritevoli e lasciare da parte i carenti, la competizione serve in questa società e va normalizzata, ciò che sei sono i risultati che porti e la scuola deve avere l’unico scopo di portare la mentalità e le raccomandazioni del mondo del lavoro. Se questo può sembrare esagerato, basta notare come, soprattutto negli ultimi anni, ci siano stati dei cambiamenti all’istruzione che strizzano l'occhio a questi concetti. Un esempio? Il cambio del nome imposto dal governo Meloni in “Ministero dell’istruzione e del merito” (cosa vuol dire merito?), l’ipotesi di abolire il liceo classico (e la purga socio-culturale di alcuni “businessmen” nei confronti di materie considerate “inutili” come latino, greco, storia dell’arte e filosofia a scapito di un interesse maggiore a promuovere scuole private di finanza e marketing) e il neo-liceo del Made in Italy, figlio dell’identità nazionalistica del governo. L’Italia ha importato nella scuola questa mentalità dagli Stati Uniti, dove la situazione è assai peggiore. I voti sono lì presto diventati un mezzo per promuovere una ghettizzazione sociale e culturale. Spiego perché.

 

Negli Stati Uniti la scuola doveva essere indottrinamento ai valori e agli ideali americani: basti pensare che ai docenti veniva fatto firmare un documento per confermare che fossero esplicitamente anti-comunisti. Inoltre la scuola insegnava apertamente la differenza “sostanziale” tra le categorie etniche e sociali, difendendola a spada tratta. Gli USA furono tra gli ultimi paesi ad accettare l’uguaglianza etnica. Gli afroamericani e i poveri spesso frequentavano istituti di periferia dove il loro unico obiettivo, senza via di scampo, era prepararsi per lavorare e rimanere sfruttati: veniva insegnato loro che non potevano fare altro. Dopo la parità civile raggiunta dai neri, le scuole aprirono alla differenziazione sociale e culturale ma bisognava condividere un’ideale che mantenesse velata, ma ancora presente, questa differenziazione sociale: a cultura del merito e di chi va avanti. Nel periodo Reaganiano vennero concesse enormi agevolazioni alle scuole private e si diffuse il concetto statunitense di “A-Classes”, classi composte solamente da studenti ritenuti capaci. Il sistema scolastico americano riempie di test attitudinali i loro studenti per capire a tutti gli effetti cosa dovranno farci con il loro percorso scolastico. Inoltre, questi famigerati studenti migliori che prendevano ottimi voti, erano quasi sempre ragazzi bianchi e solitamente benestanti. Non si vede l’incoerenza?

 

Da questo si può capire come il voto non valuta quanto davvero uno studente sia capace o abbia appreso gli argomenti, ma quanto questo sia affine a delle specifiche condizioni socio-culturali. La scuola, soprattutto quella italiana che sin dal fascismo ha mantenuto stabile la filosofia della “scuola a casa” (il sistema scolastico italiano è tra i più alti in Europa e nel mondo in tempo di lavoro al di fuori delle lezioni), sbologna e non promuove lo studente povero o che proviene da situazioni familiari difficili e con poco accesso al tempo libero necessario per studiare, promuove invece quello che ha luogo e tempo per poter imparare le giuste nozioni a memoria. Se pensiamo alle esperienze personali, certamente noteremo come, anche nelle nostre classi e nella nostra stessa scuola, gli studenti che sono stati bocciati o che sono andati via, oltre ad essere svogliati o maleducati, non erano mai privi di qualche di disagio familiare e/sociale. E non è neanche raro trovare classi partite con tanti studenti e poi finite con metà (o anche meno) degli alunni: beh, siamo sicuri che tutto questo sia colpa solo degli studenti e non sia anche una sconfitta del corpo docente educativamente arretrato che ha posto metodi valutativi estremamente bassi pretendendo più di quanto desse? Non è giusto chiudere la porta in faccia a gente che, per un motivo o per un altro, ha delle difficoltà ed è compito del professore ed educatore capire il contesto e lavorare per motivare il ragazzo a raggiungere almeno un piccolo risultato. Per questo mi ritengo contrario alle bocciature, sono demoralizzanti e aumentano le probabilità di abbandono scolastico. Davvero vogliamo aumentare queste disparità? Davvero deve esserci questa divisione netta tra chi è migliore e chi deve fare lo spazzino (con rispetto degli spazzini) per tutta la vita?

Parlando direttamente del voto, molti professori sono convinti che il voto basso costituisca una sfida e che serva per stimolare lo studente. Per quanto questa metodologia possa funzionare in una minoranza di ragazzi, gran parte degli studenti risultano stressati, ansiosi e addirittura demotivati dall’idea dell’insufficienza. Inoltre credo che nulla sia più lontano dall’idea di scuola come luogo di cultura alla visione dello studio e della conoscenza come una sfida individuale, giocando su una stimolazione di ricompensa pavloviana. Non possiamo rendere la scuola un gioco nietzschiano da quattro soldi del “Ciò che non mi uccide mi rende più forte”, suvvia!

 

Altro supporto sulla giustezza del voto sta nell’idea che la scuola debba preparare al mondo reale e sia giusto soffrire negli anni scolastici per dare un assaggio di quello che si passerà nella vita adulta. Credo sia un concetto pericoloso e figlio di una mentalità pessimistica arresa al sopruso capitalistico della società: LA SCUOLA MAI E POI MAI DEVE ESSERE UN ASSAGGIO DEL LUOGO DI LAVORO! La scuola deve educare le nuove generazioni a distruggere ciò che di sbagliato c’è nel mondo e promuovere un pensiero critico. Una scuola che appoggia la vita reale non è una scuola, è un corso pre-lavorativo.

 

Cosa dire poi del concetto che il voto aumenta la motivazione dello studente e che, senza di questo. lo studente non studierebbe più? Questo, è già smentito dai dati che dimostrano l’esatto contrario ma è anche un’enorme dimostrazione che bisogna cambiare proprio il modo di fare scuola: se a scuola tutti gli studenti sono in balia di loro stessi e viene applicato per loro lo stesso metodo da cui usciranno fuori solo i più bravi nell’affrontarlo, come possiamo non aspettarci che gli “anticonformisti” a questa metodologia possano trovare motivazione? Bisogna lavorare su una scuola che lavori molto sulla creatività degli studenti e che possa promuovere uno studio non mnemonico e statico. Lo studente deve trovare interesse e deve saper sfruttare la sua creatività negli argomenti da studiare. Viva quindi ai progetti extra-scolastici, alle conferenze di Mantovani, Levi, Barbero. Viva alla scuola aristotelica, alle lezioni fatte passeggiando, fatte fuori delle aule. Infine viva ai lavori di gruppo (fatti in classe): la scuola non deve mettere gli studenti contro di loro ma deve insegnare che in gruppo si confrontano le capacità di tutti e c’è sostegno. La scuola deve insegnare che l’egoismo e il lavorare da soli non è l’aspirazione e la tendenza. Studenti, bravi o con difficoltà che siano, devono collaborare e in un modo o nell’altro ciascuno imparerà dall’altro.

 

APPELLO - (al Peano) Non mollate il progetto di Valutazione descrittiva!!: c’è bisogno di questo progresso! E' assolutamente fondamentale però l’assidua comunicazione con lo studente e, soprattutto, la trasmissione di un’idea di scuola in cui non è il voto a valutare le capacità dello studente, ma la persona in sé. La pedagogia è dalla nostra parte. Pieno appoggio quindi ai docenti che aderiscono e credono nel progetto perché questa iniziativa dimostra che il Peano sa essere una scuola aperta al futuro. Ciò che auspico è che questo sia solo l’inizio di una scuola nuova, una scuola in cui imparare è quello che conta, dove si formano pensatori invece che lavoratori.



Marco Bellucci, 3 O

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