Trovo che il dolore oggi non sia solo una risposta a uno stimolo di ovvia natura, non é così semplice. Oggi diventa uno strumento di antinichilismo passivo e propositivo, in quanto il dolore si completa in se stesso, non deve avere lo scopo di farci stare bene mentre é, e se é per questo, nemmeno di stare male, perché il suo scopo é essere. Queste considerazioni propositive non le ho avute sotto l'effetto del dolore. Cerco di qualificare la parte più comoda del dolore, non serve avere uno scopo se già lo hai, il tutto va inserito in una dimensione temporale: se in quel momento soffri, il tuo scopo é soffrire. Da queste razionalizzazioni possono nascere forzature e risposte controproducenti, se non ci si limita al momento presente. Potrebbe risultare un cervellotico e limitante costrutto, ma noi ci muoviamo per costruzioni mentali e, se ci costruiamo sull'attribuzione di un senso universale che già non é piú da quando dio é morto, allora ci sentiamo in alto mare, un mare di merda.
La tristezza É un prodotto del dolore, una conseguenza generata dai costrutti mentali dettati da epoca, cultura e specifiche caratteristiche dell'individuo. Analizziamola nel suo ruolo sociale in quanto relazionale ma, attenzione, il dolore é solo tuo, il ruolo sociale lo acquisisce quando portiamo qualcosa al di fuori di noi. Galimberti dice che la lancetta si é spostata sul senso di inadeguatezza più che sul senso di colpa e la nostra percezione di colpa e, di conseguenza, il senso di colpa é cambiato, paurosamente deviato da una radicata vittimizzazione collettiva. Il carnefice che qualifica la vittima in quanto infligge il danno, é colpevole dell'effetto sulla vittima, ne é causa, ma non della risposta della vittima, se negativa, che può manifestarsi come depressione o narcisismo, con tutte le implicazioni relazionali del caso. La COLPA della risposta emotiva é di entrambi a detta mia, che sia solo della vittima o solo del carnefice, questo lo deciderà la vittima . La responsabilità delle azioni della "vittima" indubbiamente no, diventando carnefice, anche se solo di se stessa. E giustamente come sentirsi adeguati ?Oltre le ovvie considerazioni sulla nostra percezione corporea e mentale deviata da ideali lontani da noi, penso che ci sentiamo inadeguati perché abbiamo una fottuta paura. Certo é che una normale tendenza all'incertezza é tipica del periodo chiamato di onnipotenza giovanile.
Per evolverci dobbiamo adagiarci meno sereni sopra millenni di condizionamento della cultura occidentale, che porta con sé le visioni di tempo, sofferenza, morte, giusto, sbagliato, vittima e colpevole. Se risultasse che abbia toccato incompletamente e brevemente temi così ampli é perché é così.
Daniele Porchetti, 3I
コメント