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Gabriele Perelli

"Ragazzaccio" di Paolo Ruffini


“Ragazzaccio”, film di Paolo Ruffini, un teen movie a tema Covid e Cyberbullismo.

Il lockdown italiano del 2020 viene raccontato dalla prospettiva di Mattia (Alessandro Bisegna), un giovane diciottenne con problemi comportamentali e scolastici. Il “ragazzaccio” dà continui problemi alla famiglia, non dimostra interesse nello studio e spesso e volentieri si macchia di atti di cyberbullismo contro i compagni più deboli. Una volta costretto a casa dai decreti restrittivi del governo, Mattia si ritroverà a fare i conti con la propria vita. Tra amore, scuola e famiglia dovrà decidere che tipo di persona diventare.

Il film risulta arido e retorico perché tratta con superficialità il tema del lockdown vissuto dalla prospettiva di un 18enne, quello che emerge risulta essere un minestrone di luoghi comuni, frasi fatte e semplicistiche (“Se sei spettatore il tempo passa, se sei protagonista il tempo arriva”, “Il Covid è tipo un bullo, basta un po’ d’amore e se ne va”) che non rispecchiano la realtà della nostra generazione.

Ruffini fa fare al protagonista un percorso che passa per scelte a volte troppo drammatiche, troppo enfatizzate: le sue azioni da bullo, sono sempre troppo estreme, e stridono con quello che è il tono generale del film, il linguaggio risulta continuamente scurrile e troppo insistito, l'indisponenza reiterata verso l'autorità appare troppo calcata, la dipendenza da videogiochi e social media danno luogo ad una carrellata di personaggi piatti, poco sviluppati, che risultano essere delle fastidiose macchiette.

Tra madri complottiste e genitori poco presenti, professori troppo demotivati o esasperatamente benevoli, anche le figure degli adulti non si salvano dal semplicismo e dalla superficialità di Ruffini.

"Ragazzaccio" non riesce a smuoversi da quel facile buonismo che permea una sceneggiatura tutt’altro che ben scritta. Il disagio psicologico e l’impossibilità di relazionarsi con l’esterno è solo uno dei tanti temi toccati, anch'esso con banalità, dal film, che propone la retorica di fondo, mielosa quanto inefficace, dello slogan “Andrà tutto bene”.

Gabriele Perelli, 4I



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