Pietro Grasso è un politico, giurista e magistrato italiano che ha avuto un ruolo importante nella lotta alla mafia in Italia. Nato a Licata, in provincia di Agrigento nel 1945, ha studiato legge all'Università di Palermo e ha iniziato la sua carriera come giudice a Catanzaro. Nel corso degli anni ha esercitato vari incarichi di giudice, tra cui quello di giudice a latere nel primo maxiprocesso ai danni di Cosa nostra. Nel 2013 è stato eletto presidente del Senato italiano.
Attualmente è presidente della Fondazione Anima, un'organizzazione senza scopo di lucro che si occupa di sviluppo sostenibile e di difesa dei diritti umani. È inoltre autore di numerosi libri e articoli su temi giuridici e politici. Pietro Grasso è riconosciuto come una figura importante nella storia dell'Italia moderna, impegnato nella lotta contro la mafia e per la difesa della democrazia e dei diritti umani.
Il 05/04/2023 Pietro Grasso ha incontrato noi studenti del Peano per raccontare la propria esperienza di lotta alla mafia e portare avanti la testimonianza di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone così come ha fatto con i due libri che gli studenti coinvolti hanno letto, Il mio Amico Giovanni e Paolo Borsellino parla ai ragazzi. L’incontro si è svolto come una lunga intervista di circa due ore, in cui Pietro Grasso ha risposto alle nostre domande:
Signor Grasso dopo che Giovanni Falcone, il vostro “scudo” è stato assassinato e poco dopo anche il vostro collega Paolo Borsellino, lei si è sentito il prossimo?
<<Onestamente no, non il prossimo. Invece poi ho scoperto che sarei stato il prossimo. Non avevo la percezione di essere quello dopo di loro, l’ho scoperto con il tempo, durante le indagini e dopo che alcuni collaboratori di giustizia hanno iniziato a parlare della strage di Capaci, ho scoperto che avevano pensato anche a me. Un giorno Totò Riina disse a un certo Giovanni Brusca "ci vorrebbe un altro colpettino" cioè, che cos’è un colpettino? E' un modo per riattivare quella trattativa fra stato-mafia già iniziata. Ebbene dopo le stragi di Capaci e di via d’Amelio, Toto Riina voleva riavviare questa trattativa. Quindi io facevo parte della trattativa; per fortuna però sono solo un sopravvissuto. Perchè dico questo? Perchè la vita è fatta di coincidenze, chi ha letto bene il libro lo sa ma, lo ripeto per chi non se ne ricorda: il modo con cui ho appreso di questo attentato nei miei confronti è particolare, strano. In quel momento ero al Ministero della giustizia dopo le stragi, con il ministro Martelli che cercavamo di organizzare quella che sarebbe stata la Procura Internazionale Antimafia. Non pensavo di essere al centro dell’attenzione di Cosa nostra. Lavoravo in un ministero! Una mattina, ad un certo punto, mi arriva una telefonata da parte di alcuni funzionari antimafia e mi dicono che c’era un pentito, un collaboratore di giustizia, che aveva iniziato a parlare della strage di Capaci, e diceva che nel frattempo c’era preparato un altro attentato nei confronti di un altro magistrato a Monreale, una cittadina vicino a Palermo, però non si ricordava il nome del magistrato, e allora chiamarono me anche se in quel periodo lavoravo a Roma. Mi recai a Palermo il fine settimana e quindi andai nel posto segreto dove stavano interrogando questo pentito. Aprirono la porta e mi presentano “ecco il dottore Grasso”; appena questo sentì il mio nome si diede una manata sulla fronte e disse “idu è idu è” ("lui è, lui è"). Appena detto il nome infatti ha riconosciuto quella persona di cui non si ricordava il nome nei confronti del quale avevano preparato l’attentato. A quel punto cosa accadde? Che appena si vide davanti la vittima predestinata dell’attentato ebbe quasi un senso di pudore e non volle più parlare, mentre io dovevo restare lucido, per cercare di capire se era ancora in atto il progetto e come lo volevano fare. Dopo un po di tempo lui finalmente si sciolse e lo convinsi che anche se aveva fatto una cosa terribile, era meglio che avesse parlato, e quindi raccontò quello che avevano fatto.Avevano notato che io, ogni fine settimana, andavo a monreale a trovare mia suocera, perché stava molto male. Io lavoravo a Roma e il fine settimana andavo a Monreale a visitare la mia famiglia. La mafia aveva notato questo e quindi preparavano un attentato davanti casa di mia suocera, Avrebbero messo dell’esplosivo in un tombino così che quando sarei passato con la macchina, l’avrebbero azionato con un telecomando. Avevano anche rubato un furgone bianco a cui avevano tagliato una parte del pavimento, per posteggiarlo sopra il tombino e lavorare all’interno della macchina senza essere visti, così da riempire il tombino di esplosivo. Avevano tutto pronto, anche la chiave del tombino.... però, guardandosi attorno, notarono che c’era una banca e che aveva un sistema di allarme, e si preoccupano che la frequenza del sistema d'allarme potesse influenzare l’esplosione, ed azionarla in un momento in cui io non c’ero. Quindi questo attentato poteva far fallire e allora lo rinviarono per trovare il telecomando giusto, finché non lo trovarono a Catania. Dunque: uno prende il telecomando e lo consegna a quello che era colui che doveva sovrintendere all’organizzazione dell’attentato. Si chiamava Biondino. Questo Biondino era il capo della famiglia mafiosa che doveva dirigere l’attentato, ma anche l’autista di Totò Riina e quella mattina che vennero arrestati dovevano andare insieme ad una riunione di mafia. Fu arrestato il 15 Gennaio del '93 e quindi nessuno sapeva dove avesse messo il telecomando che non si trovava più. Si perse altro tempo finché mia suocera morì. Senza più mia suocera io non andavo più a Monreale proprio quando avevano finalmente trovato il telecomando, e così l’attentato non si fece più. Come avete visto, devo la mia vita ad una banca ma anche alla morte di una suocera.
Roberto Saviano afferma che se potesse tornare indietro non rifarebbe tutto ciò che ha fatto. Lei come la pensa a riguardo ?
<<Io la penso al contrario, farei tutto quello che ho fatto, non ho rimorsi e rimpianti. Vero che ci sono stati momenti particolarmente pericolosi nella mia vita, ma io sono veramente soddisfatto di tutto quello che ho fatto anche nei momenti di difficoltà e delusioni però l'importante è superarli e avere la forza di andare avanti nonostante tutto. Questo è proprio il grande insegnamento che mi hanno dato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che erano determinati ad andare avanti: tutti noi sapevamo che correvamo dei pericoli, ma abbiamo avuto questa consapevolezza da sempre. Non mi ha mai sfiorato l'idea di fermarmi. Vedete, il Maxiprocesso ha avuto molti risultati positivi, si é concluso con la condanna di mafiosi, con ergastoli a vita e migliaia di migliaia di anni di carcere, beh io fatto di tutto perché avesse successo e poi, dopo che è stata confermata la mia sentenza dalla Corte di Cassazione e gli ergastoli sono diventati definitivi per tutti mafiosi. Allora in un certo senso potrei anche sentimi in colpa; certe volte mi sono chiesto: ma se io avessi fallito, se avessi fatto male il mio lavoro, se le stragi sempre del maxiprocesso non avessero avuto un risultato positivo, beh, tutti i miei amici sarebbero ancora lì! Ma questo lo superò razionalizzando perché conoscendoli, anche se avessimo fallito quel momento, ne avremmo creato un altro. Tant'è che proprio dopo il Maxi 1, facemmo anche il Maxi 2 e Maxi 3. Per contrastare questo fenomeno non ci si fermava mai, bisogna andare avanti fino a raggiungere l'obiettivo. Il Maxiprocesso è stato come liberare un popolo della paura e dall'intimidazione. è stato come far alzare la testa e far vedere ai siciliani, non solo di avere la mafia nel proprio territorio, ma di saperla anche contrastare, di saperla combattere anche attraverso la partecipazione di giudici popolari che hanno fatto parte di quella Corte di assise che ha giudicato i mafiosi al maxiprocesso. Per fare il processo avevamo tutti dei doppi, cioè sì lavorava con l'ipotesi che potessimo essere uccisi e rimpiazzati. Proprio perché il processo non si poteva fermare e doveva andare avanti. E mi dispiace che Saviano non farebbe più quello che ha fatto, perché anche lui ha dato un contributo alla lotta contro la mafia. Invece io continuerei e continuo a perseguire quegli ideali, quegli ideali che hanno ispirato la lotta contro la mafia.>>
Nel libro parla di un accendino che Falcone gli ha regalato e che ora è diventato un suo portafortuna. Lo porta ancora con sé? Se ce l’ha qua, può farcelo vedere?
<<La storia dell’accendino nasce da un momento particolare con Giovanni Falcone, quando eravamo su un volo Roma-Palermo, uno di quei voli di sicurezza che aveva a disposizione su cui mi dava un passaggio. Un giorno mi disse “ho deciso di smettere di fumare, mi devi tenere questo accendino, ma non te lo regalo, lo devi custodie con te perchè se dovessi decidere di riprendere a fumare, me lo devi restituire”, allora io presi l’accendino lo misi nella mia borsa, chiudendola con la cerniera sapendo quale fosse l’importanza di questo oggetto che per il mio amico Giovanni aveva un valore particolare. Non passò molto tempo che ebbi la notizia della strage. Subito corsi verso l’ospedale dove era stato portato Falcone appena estratto dalle lamiere contorte della sua autovettura dopo l’esplosione dell’autostrada che dall'aeroporto di Palermo porta alla città, all’altezza di Capaci. Beh, io arrivai all’ospedale e vidi che stava entrando Paolo Borsellino. Dopo un po’ uscì, a quel punto capii che per in nostro amico non c’era più niente da fare. Ricordo che mi lasciai piangendo con Paolo, il quale non sapeva che dopo 57 giorni sarebbe toccato anche a lui e ricordo la frase con cui ci lasciammo “Una parte della nostra vita è andata via”. Poi, arrivato a casa pensai che Giovanni non avrebbe più potuto richiederlo indietro l’accendino, e allora decisi da quel momento di tenerlo sempre con me>>.
Cosa è successo all’agenda rossa di Paolo Borsellino? Lei che idea si è fatto?
<<Io ricordo che Borsellino aveva un’agenda marrone, non rossa. L’agenda rossa spunta dopo la strage di Capaci. Era un’agenda che ci regalarono i carabinieri. Anche io ho delle agende rosse ma non ci ho annotato niente di particolare, tanto che io non ho agende: se dovessi morire, inutile che cercate, sappiate che non ho agende dove scrivo! Invece Paolo Borsellino dopo la morte di Falcone iniziò ad annotare su questa agenda e ci teneva tantissimo perché era successo che una volta se l’era dimenticata in albergo e fece il pazzo con la scorta: “TORNIAMO SUBITO, TELEFONATE ALL’ALBERGO, DITE DI NON FARE ENTRARE NESSUNO, PERCHÉ HO DIMENTICATO LA MIA AGENDA SUL COMODINO ” dovevano a sirene spiegate tornare indietro per cercare di recuperare l’agenda. Un’altra volta non la trovava più e si agitò moltissimo ma alla fine era caduta sotto il sedile della macchina. Quindi, abbiamo capito che lui ci aveva segnato delle cose importanti. Il giorno dopo la strage di Capaci doveva essere interrogato sulla strage e doveva portare dietro proprio quell'agenda. Qualcuno, forse, sapeva che c’erano cose che avrebbero potuto mettere in pericolo delle persone: quando ci fu la strage in Via D’Amelio, in quell’inferno di fuoco e di fiamme, con brandelli di carne umana, con il cadavere carbonizzato di Paolo Borsellino per terra, c’era chi invece andava cercando intorno alla sua macchina la sua borsa, dove aveva messo l’agenda rossa. L’agenda è scomparsa: abbiamo un’immagine di allora, di un capitano dei Carabinieri con in mano la borsa ma non sappiamo se l'agenda era stata sottratta prima o sottratta dopo, se è ancora dentro. Tutte le indagini che sono state fatte non sono riuscite a far scoprire la verità anche perché io penso che non sia certamente la mafia che ha sottratto l’agenda perché in quel momento non c’era la mafia intorno a quelle macchine in fiamme. Beh, chi l’ha sottratta non ha mai ritenuto di dover dire la verità, andando contro quello che è il suo dovere istituzionale perché, secondo me, era qualcuno che faceva parte di istituzioni, polizia, carabinieri, servizi segreti, non so chi, ma qualcuno certamente l’ha sottratta, e io penso che non abbia fatto fino in fondo il proprio dovere.>>
Signor Grasso cosa ci consiglierebbe fare per combattere attivamente le organizzazioni mafiose, anche nel nostro quotidiano?
<<Studiare. Potreste obiettare: ma perché studiando si combatte la mafia? Per ora no, ma in futuro, quando farete parte della nuova società dovete essere preparati per dire: ”no, grazie” alla mafia.>>
Lorenzo Biondi, Gabriele Perelli, 4I
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