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Immagine del redattoreGiornalino Peano

POA, una realtà di cui andare fieri

L’evoluzione della band romana POA, dalla nascita e le origini all’attualità, passando per sperimentazioni, cambi di genere e di sound, rimanendo sempre originali e mai statici dal punto di vista artistico.


Lo scorso 23 aprile, la band romana Plugs Of Apocalypse (POA) ha pubblicato un nuovo singolo intitolato “All the things we didn’t say”, dopo quasi due anni di silenzio in seguito alla pubblicazione del loro ultimo album in studio “Stay”. Ma chi sono i POA? I POA sono una band formatasi a Roma nel 2008, che si presentai con un sound deathcore molto violento, tipico della scena metal di quegli anni, arrivando a pubblicare nel 2011 il loro primo album, ”Necropolis”, che rispetta in pieno i parametri che il genere prevede. Dopo appena un anno seguì la pubblicazione di “Ashes”, album dalle sonorità più sinfoniche ma che rimane fedele alla loro vena deathcore, come del resto fa il mini-album seguente, ”EAS”, uscito nel 2015, il quale oltre a vantare una collaborazione con dei componenti di una band di fama internazionale come i Fleshgod Apocalypse, alimenta lo stile simphonic-metal intrapreso nell’album precedente, che anticipa la trasformazione che subirà la band negli anni a seguire. Difatti, nel 2017 esce “Deeper than hell” quarto album in studio ma primo di una band ormai rinnovata, dal punto di vista dello stile, del genere, del sound e degli argomenti, che diventano più profondi e sentiti. Questo album unisce le influenze dethcore degli album precedenti con sonorità molto interessanti, caratterizzate da un uso estensivo di synth, voci femminili, sezioni melodiche e ritornelli orecchiabili anche ai non avvezzi al genere. Le tracce sono molto differenti tra loro e attraverso queste, la band esplora diversi generi senza dimenticare le proprie origini, che si possono sentire molto chiaramente nelle batterie e nelle ritmiche. Esempi di questa varietà sono già semplicemente i due singoli, “Tears” e ”Burn Everythig I Love”. La prima consiste in un costante alternarsi e fondersi della voce maschile e gli scream del cantante Giorgio della Posta e quella femminile di Sara Mun, accompagnati dal ritmo incalzante dalle ritmiche degli archi e della batteria, che nonostante non sia quella che ci si aspetti per un pezzo del genere, riesce a servire sempre il pezzo senza mai coprire il resto della canzone o sfociare in tecnicismi superflui. La seconda invece, presenta una componente elettronica molto più massiccia, con molti più synth, drop quasi dubstep e parti di batteria acustica integrata con parti di percussioni programmate. Nonostante ciò, tra queste due canzoni e quelle di tutto l’album, ci sono diversi punti di contatto nella loro marcata diversità, come i synth, gli assoli, l’uso di strumenti classici come archi e pianoforte e l’uso di diverse voci femminili a seconda del genere della canzone. Infine arriviamo all’ultimo album all’attivo del gruppo, “Stay”, pubblicato nel 2019 il quale, se possibile, evolve nuovamente il sound, il genere e l’anima della band. L’album si apre con la title track, "Stay" per l’appunto, una traccia viscerale, una vera e propria esperienza sensoriale che fa viaggiare e provare emozioni amalgamate e indistinte. Questa traccia è caratterizzata dall’uso ancora più massiccio di synth, dalle pesanti influenze wave e dallo scemare, ancora più dell’album precedente, delle influenze core; tutti elementi che caratterizzeranno l'intero l’album, che può definirsi attualmente il più maturo della band, nonostante la sperimentazione sia ancora presente e non in minima parte. Io e tutti i fan del genere aspettiamo con trepidazione nuove pubblicazioni di una realtà tutta italiana di cui andare fieri, e di poter presto tornare a sentire questi grandi artisti tornare a suonare live, magari per presentare un nuovo album, ovviamente, pandemia permettendo.



Mauro Forreiter 3I

Riccardo Tomassoli 3I





Fonti

POA



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